lunedì 5 dicembre 2011

L’inchiostro sangue del Rio della Plata traccia derive esistenziali e sociali

Se avete una “straordinaria passione per i paradossi dall’equilibrio instabile, come piramidi poggiate sulla punta”, la lettura che fa per voi, in amaca e in ogni luogo, è Inchiostro sangue, antologia di racconti del Rio de la Plata corredata da saggi, a cura di Loris Tassi e Antonella De Laurentiis. Il libro è un assaggio, uno ‘sfizio’ croccante e sapido; piacevole scoperta per chi si apre al mondo della letteratura catalogata come poliziesca, ma abbiamo ragione di credere anche per i lettori di consumata competenza. Il poliziesco: genere ‘ferroviario’, secondo qualcuno, o balneare secondo un’altra variante consolidata; gioco fantastico in forma di crimine rompicapo da Borges in poi. Poliziesco è generico: i critici,  scrive Loris Tassi (docente di lingue e letterature ispanoamericane presso l’Orientale di Napoli) nel suo saggio narrativo in appendice, “sono d’accordo nel ritenere che le correnti principali del poliziesco siano tre: il romanzo enigma, il romanzo di suspense e il romanzo noir”. Abbiamo tante di quelle categorie in testa da far spavento: un’antologia simile è un buon pretesto per fare ordine in zona ‘giallo’ e capire che “anche se viviamo ‘sotto l’influenza calmante della letteratura standardizzata’, anche se i romanzi polizieschi confezionati con lo stampino si sprecano, molti scrittori latinoamericani dimostrano che è possibile riattivare il genere con infinite e sempre più complesse versioni e perversioni”, secondo l’avvertenza ancora di Tassi. Non c’è solo il Dupin di Edgard Allan Poe, il grande iniziatore, il creatore del genere secondo Borges ma anche del suo lettore specifico, sospettoso, guardingo, critico; non c’è solo il più noto ai cultori, il detective Marlowe di Raymond Chandler, o il filone anglo centrico classico, l’Holmes di Conan Doyle, l’Hercule Poirot o la Miss Marple di Agatha Christie (per restare ai più famosi).
L’Argentina è terra feconda che ha prodotto e produce una originale e efficace produzione poliziesca, prima di Borges e dopo. L’antologia sta a testimoniarlo e si scopre curiosamente leggendo i racconti e inoltrandosi poi nei saggi integrativi, che ci sono stati scrittori di polizieschi d’attitudine e costruzione borgesiane prima di Borges; scrittori che hanno usato un genere considerato marginale o minore come un pretesto o ‘salvacondotto’ per incanalare di volta in volta un gioco intellettuale, un’arte sublime e fantastica (come poi Borges lo intese) , la fotografia della realtà, la denuncia sociale per sfuggire alla censura, dittatoriale e non; la voglia di trasgredire a logiche date e scovare la libertà d’espressione attraverso lo scarto dalla norma.  Apre l’antologia il racconto L’indagine (primo racconto poliziesco pubblicato in lingua spagnola nel 1897,  segnala nel suo saggio Andrea Pezzè) di Paul Groussac, scrittore franco argentino. Questo racconto mostra che il poliziesco è un ottimo modo di fare meta letteratura e realizzare avventure mentali. La trama è raccontata nel corso di una gita in barca da un ex commissario di polizia a Buenos Aires che ha la “straordinaria passione per i paradossi dall’equilibrio instabile”.  Il racconto riferito dal narratore consiste nel fatto che la protagonista è costretta a inventare lei stessa una trama fasulla e non perché colpevole. Non copre infatti il delitto della madre adottiva, ma copre la sua vita, o onorabilità. Caso vuole che quando la madre adottiva viene uccisa nella casa in cui convivono, ha ricevuto clandestinamente il suo amante. Siamo in costruzioni meta letterarie dove il delitto e la risoluzione dell’enigma sono elementi non prevalenti quasi: valgono come congegni per interessare il lettore e poi trasportarlo altrove, tra i fili che manovrano l’invenzione stessa, in sala macchine. Così è il racconto Il triplice furto di Bellamore dell’uruguaiano Horacio Quiroga, pubblicato nel 1903. Questo tal Bellamore è accusato da un antagonista che non ha niente di meglio da fare, tale Zaninsky, di aver compiuto tre furti in tre banche. Il narratore confuta le accuse e lo scagiona, senza indicare il vero colpevole. Allora in che consiste la trama e il punto di svolta? In realtà è un curioso racconto, “uno dei primi polizieschi sul poliziesco, un’opera che è la poetica di una narrazione”, chiarisce lo studioso Andrea Pezzè.
Scantona e trasgredisce regole proprie del genere La pazza e il racconto del crimine di Ricardo Piglia, racconto scritto nel 1975 (guarda caso quando l’Argentina sta sprofondando nella dittatura) incentrato non tanto sul crimine, ma sul fatto che si può dire la verità su un crimine solo attraverso la finzione, la scrittura. Un linguista prestato al giornalismo risolve un caso di omicidio decifrando le frasi sconnesse di una pazza che svelano l’identità dell’assassino. Il direttore del giornale rifiuta di pubblicare lo scoop per evitare problemi con la polizia: la verità non può essere messa al servizio della giustizia. L’unico sistema di svelarla è trasformarla in letteratura, ovvero ricorrere alla finzione di un racconto poliziesco. Il tipo dell’argentino Mempo Giardinelli, è un uomo che sa di stare per essere freddato da un killer e non fa niente per sottrarsi alla fine, anzi fa il resoconto mentale a freddo dell’avvenimento mentre è seguito nel tragitto verso casa perché “la morte è un fatto quotidiano”. Finché a casa, compie i soliti gesti,  l’unico cruccio è accorgersi che lo slip ha l’elastico rotto,  sente i passi sulle scale, apre una birra e anche la porta. La prima cosa che vede è la pisola col silenziatore. Ed è anche l’ultima. Non conta tanto chi uccide e perché, quanto il mandante; vale la suspense e la minaccia incombente, la condizione di precarietà e pericolo in una società corrotta dove non c’è salvezza. O ci si salva perdendo la vita nei modi più bizzarri: in Inchiostro sangue di Juan Sasturain si scrive col proprio sangue la canzone di dedica all’amata per riconquistarla, ma il gioco eccede la misura e si muore. Se è così che vanno le cose, allora, caso argentino a parte, se il poliziesco declinato in vari modi contiene il mondo e la sua complessità, si spiega allora anche l’inflazione del genere (fino alla pattuglia di scandinavi la cui la sovrabbondanza produttiva di noir ha esternato la corrente pulsionale di distruzione e morte, oltre la facciata di società civile e ‘criteriata’ purtroppo confermata dalla cronaca dei giorni scorsi). Profeta o premonitore, Jean Patrick Manchette (fautore del noir francese contemporaneo, morto troppo presto, citato da Loris Tassi), l’ha annunciato all’alba del duemila: “il giallo è la grande letteratura morale della nostra epoca ed è la letteratura della crisi”.



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